I mujaheddin iraniani in Albania, nuovo focolaio balcanico

Le donne costituiscono quasi la metà dell’ala armata del MEK

Attaccato dalla polizia il ‘campo Ashraf 3’ nel villaggio di Manez a una trentina di km da Tirana, in Albania, dove dal 2012 trovano rifugio circa 3500 militanti dell’opposizione armata al regime iraniano affiliati al Mek, i ‘Mujaheddin del Popolo’. Secondo il portavoce del MEK, ci sono state due vittime e dozzine di feriti negli scontri dopo che la polizia ha usato gas lacrimogeni. Le forze dell’ordine sostengono di aver avviato i controlli a seguito di un’ordinanza emessa dal Tribunale di Tirana, nella ‘lotta al terrorismo’.
Un altro storia balcanico-americana in cui vecchi terroristi vengono convertiti in Patrioti, a partire dal Kosovo, con conseguenze spesso impreviste.

I Mujaheddin iraniani d’Albania e la Cia

«Ashraf 3: il centro per distruggere l’Iran finanziato dagli Usa». Il controverso gruppo islamico armato ‘Mojahedin-e Khalq’, comunemente conosciuto con il nome di MEK. Un movimento classificato per molti anni come terroristico sia dagli Stati Uniti che dall’Unione europea, per diversi attentati compiuti in Iran. Nel 2012, il dipartimento di Stato guidato da Hillary Clinton ha cancellato il MEK dalla lista nera. Prima terroristi, poi preziosi alleati. Dopo il 2012 gli Stati Uniti hanno ‘favorito’ la creazione di una base in Albania per ospitare le famiglie del MEK. Un’operazione finanziata inizialmente con 20 milioni di dollari attraverso l’agenzia dell’ONU UNHCR. Dase operativa ‘Ashraf 3’, località di Manez, Durazzo. Il complesso è militarizzato, strettamente sorvegliato difficile anche solo avvicinarsi.

Da terroristi a patrioti modello UCK

La struttura ospita più di 3.000 appartenenti al MEK, una presenza ingombrante che nel corso degli ultimi anni ha anche suscitato il risentimento della popolazione locale assieme a visite statunitensi importanti. Mike Pompeo, ex direttore della CIA, ha visitato Ashraf 3 dichiarando di fronte ai membri del MEK, «Alla fine, il popolo iraniano avrà una Repubblica laica, democratica e non nucleare. Sono impegnato in questa causa, so che lo siete anche voi». Dopo Pompeo era arrivato anche il vice di Trump, Mike Pence. Eppure, già durante l’occupazione statunitense dell’Iraq, Haman Rights Watch e la Rand Corporation avevano fornito alcuni dei primi resoconti in inglese di torture riservate dal MEK ai dissidenti e delle condizioni repressive a Camp Ashraf.

I disordini di attualità in Albania

Durissima battaglia due giorni fa in Albania tra la polizia e i militanti dell’organizzazione armata iraniana nota ora come Mujaheddin Halq. La resistenza, anche armata, degli iraniani ha impedito ai poliziotti albanesi di entrare nel campo Ashraf 3, la base dei militanti vicino a Durazzo. L’operazione di polizia era stata ordinata dal settore della magistratura albanese che si occupa di lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo. Il bilancio della battaglia, durata molte ore, è di due morti e decine di feriti.

Guerriglia anti Ayatollah via internet

Da molti anni i circa 3.500 Mujaheddin Halq hanno ottenuto asilo in Albania e si sono sistemati in questo grande campo. Decisivo è stato l’interessamento in loro favore di Washington, che a suo tempo aveva già creato per loro un campo in Iraq. Impossibilitati a condurre operazioni armate in territorio iraniano, ora i Mujaheddin Halq portano avanti attacchi via Internet contro il regime degli ayatollah. Probabilmente sono state proprio queste azioni, che spesso hanno fornito ai servizi statunitensi importanti informazioni sul regime iraniano, a mettere in allarme la giustizia albanese per le possibili reazioni non solo politiche di Teheran.
Rischi per tutti i Balcani

La presenza in Albania del MEK non fa altro che aggravare ulteriormente la delicatissima situazione nei Balcani dove sono già presenti in forze altri gruppi jihadisti e islamisti. Sembra quasi che l’area balcanica occidentale stia diventando una zona logistica e di transito in supporto alle politiche di guerra in Medio Oriente. Da almeno un decennio in Albania, Kosovo, Bosnia e Macedonia è in corso un’infiltrazione islamista sunnita/salafita. Non a caso sono più di mille i foreign fighters arruolati nelle file dei jihadisti in Siria dal 2011. Molti di questi jihadisti stanno rientrando nei propri Paesi d’origine, con tutti i relativi rischi.
Poi un importante flusso di finanziamenti, da parte di Paesi del Golfo, nei confronti di centri culturali e moschee che divulgano l’ideologia wahhabita e salafita. La Bosnia in particolare sta risentendo pesantemente di quest’infiltrazione.

La forzatura Usa di ritorno

La collocazione in Albania dei mujahideen del MEK è decisamente pericolosa perché l’organizzazione condivide con le formazioni wahhabite e salafite la lotta contro i nemici sciiti (Iran in primis) e contro l’ Asse Sciita che da Teheran attraversa Iraq e Siria per raggiungere Hizbullah in Libano, Asse supportato da Mosca e uscito vittorioso dal conflitto siriano-iracheno. Il rischio di una sua presenza oltre-Adriatico rischia però di incrementare la destabilizzazione in un’area già caratterizzata da forti tensioni etnico-religiose, politiche e in difficili condizioni socio-economiche.

I mujaheddin iraniani in Albania, nuovo focolaio balcanico

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